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Si
tratta di un vero e proprio “marciapiede”
cresciuto a pelo d’acqua e costruito dall’opera
paziente di innumerevoli molluschi gasteropodi
dalla conchiglia a forma di tubicino calcareo,
lunga da 10 a 20 cm, che cresce saldandosi a
quella degli individui vicini: gli animaletti si
proteggono dall’esposizione dovuta alla bassa
marea con opercoli che riaprono al momento della
nuova inondazione.
Questa formazione costiera è
preziosissima dal punto di vista ecologico ed è
anche indice di buona salute del mare dato che
tende a degradarsi in presenza di inquinamento.
Il trottoir a vermetus è presente solo sulle
coste della Sicilia nord-occidentale, ed in
altri pochissimi siti del Mediterraneo
meridionale: in Algeria, in Libano e sulle coste
israeliane dove è protetto.
Superato il livello
dei trottoirs, salendo in altitudine, là dove
arrivano gli spruzzi e le mareggiate si
insediano gli ctamoli: conetti pietrosi,
somiglianti a piccoli crateri appiattiti in cima
e chiusi da un opercolo che trattiene
internamente l’acqua e sigilla l’animale nelle
fasi di bassa marea. Sono molto simili ai “denti
di cane” che infestano le chiglie delle
imbarcazioni.
Presso la linea dei frangenti si
incontrano le chiazze, nere e ruvide, dei
licheni marini su cui brucano le littorine neritoides, piccoli molluschi dalla conchiglia
conica, e in estate, la Ligia italica, crostaceo
appiattito, simile ai porcellini di terra, di
colore brunastro.
Oltre troviamo la fascia delle
alofite, piante che resistono agli spruzzi
marini come il limonio flagellare – specie
endemica molto rara e localizzata – il finocchio
marino, l’enula bacicci, la carota marina, il
ginestrino delle scogliere che, non di rado,
vengono raggiunti dalla palma nana.
Sugli scogli
prospicienti le alte pareti rocciose, spesso,
durante il periodo migratorio, sostano grossi
trampolieri come aironi, nitticore e garzette.
Una popolazione di gabbiani reali invece
nidifica sulle superfici rocciose, in un’area
confinante con la riserva (vedi box su Alicudi).
Le pareti rupestri interne sono distribuite su
tutta la riserva, fino a quota 750 m. Su di esse
si trovano numerose piante endemiche tra cui il
rarissimo limonio di Todaro e lo sparviere del
Cofano.
Ma non sono le sole: qui crescono anche
diverse altre specie endemiche o rare come la
camomilla del Cupane, il cavolo di
Bivona-Bernardi, il cavolo di Trapani, i
perpetuini delle scogliere, l’erba perla
mediterranea, la finocchiella di Boccone, l’iberide
florida, il villucchio turco, l’euforbia di
Bivona-Bernardi e il fiordaliso delle scogliere.
In situazioni meno accidentate la vegetazione
erbacea può evolvere arricchendosi in leccio o
in euforbia arborea.
Le rupi sono il regno
incontrastato di molte specie d’uccelli: da qui
s’avvistano poiane, l’aquila di Bonelli, i corvi
imperiali, il colombo selvatico e la passera
lagia o l’elegante passero solitario dalla
livrea azzurra e tre tipi di rondone di cui due
nidificanti (il pallido e il comune) e il
maggiore, che nidifica fuori riserva ma caccia
da queste parti.
Fin qui si spinge anche la
coturnice di Sicilia, di cui abbiamo già parlato
a proposito dei pendii scoscesi e delle
pietraie.
Infine, le colture agricole: individui
isolati di carrubo ed olivo o sesti abbandonati
di mandorlo e frassino da manna. Tutto è in
stato d’abbandono.
Va detto, infine, che lo
Zingaro è stato insediamento agricolo e punto di
approdo di fortuna per i pescatori colti dalle
tempeste.
Una “summa” degli aspetti
naturalistici della riserva è rappresentata nel
museo naturalistico presso il centro visitatori
di Punta della Capreria.
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