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Gli scavi
hanno dimostrato che dalla sua comparsa in quest’area, l’uomo non ha più smesso di abitarvi
o di utilizzarla per svariate attività fino al
XX sec.. Uno degli aspetti più interessanti
della ricerca sta nella scoperta che gli
abitanti indigeni hanno autonomamente vissuto
quella che i libri di scuola chiamano la
rivoluzione neolitica: il passaggio da una vita
nomade, all’inseguimento del cibo, ad una vita
stanziale, fatta di agricoltura ed allevamento:
fino a quel momento si era creduto che il
cambiamento tra gli abitatori delle grotte fosse
stato mutuato dall’Oriente, per immigrazione.
Invece in questa zona si è visto che molto
lentamente si andavano acquisendo ed inserendo
elementi nuovi al tradizionale modo di
sopravvivere, dato dalla caccia e dalla
raccolta: si erano sperimentati
contemporaneamente nuovi sistemi di reperimento
del cibo.
Rifugio di animali prima, di uomini
poi, la grotta negli ultimi secoli è stata
utilizzata soprattutto dai pastori, ma ha
nascosto anche ladri e briganti: pare che da lì
scendesse una corda che veniva ritirata dal
malfattore inseguito.
Negli anni venti la grotta
diventò sede di un’impresa economica collegata
alla pastorizia per cui venne suddivisa in
ambienti, dove si svolgevano le diverse
attività. Per quanto riguarda gli ambienti
rupestri bisogna fare riferimento all’origine
geologica del territorio: qui le rocce sono
calcaree e si sono formate in periodi che vanno
dal Triassico (220 milioni di anni fa) al
Miocene dell’era Quaternaria (6 milioni di anni
fa).
Si tratta di un unico complesso detto
“Panormide” che va da San Vito Lo Capo alle Madonie (comprendendo anche i monti di Palermo)
e che emerge a causa di complesse questioni
tettoniche risalenti a circa 5 milioni di
anni fa. Gli scavi hanno permesso di ritrovare
negli strati più antichi fossili di molluschi
marini e di alghe che segnano epoche ben precise
e lontanissime nel tempo. Megalodonti, ammoniti,
belemniti: questi alcuni dei fossili che
caratterizzano il territorio. All’epoca, le
condizioni climatiche erano diverse e molto
simili a quelle di isole tropicali come le
Bahamas. Queste alte pareti, nel loro
sollevamento lento e costante, hanno subito
l’azione del mare tanto che sulla superficie si
trovano parecchi segni di carsismo dovuto
all’azione dell’acqua e degli agenti
atmosferici: scannellature, fori di
dissoluzione, vaschette di corrosione e canyon.
L’acqua che penetra nel suolo crea anche
fenomeni di carsismo sotterraneo che si
risolvono nella formazione di grotte che si
trovano sia a livello terrestre che sottomarino.
Tra quelle terrestri, interessante, dal punto di
vista speleologico, è la Grotta del Sughero, che
si apre sulla parte alta della riserva con una
voragine, mentre dal punto di vista archeologico
la più interessante è la Grotta dell’Uzzo.
Questi ambienti sono prediletti dalle otto
specie di pipistrelli presenti nella riserva tra
cui il raro orecchione, il ferro di cavallo,
diversi vespertilioni, il miniottero e il
pipistrello albolimbato.
Grotte se ne trovano
anche sul livello di costa: queste sono state
ulteriormente ampliate dal mare. Tra quelle
marine, la cui apertura si trova sotto il
livello del mare, particolarmente interessante
per grandezza ed articolazione è la Grotta della Ficarella che si trova a 15 m di profondità, in
corrispondenza di una sorgente superficiale
d’acqua dolce. Probabilmente queste grotte erano
frequentate dalle foche monache (vedi box su
Filicudi) oggi scomparse dalle coste italiane,
anche se pare che in qualche rara osservazione
qualcuna sia stata avvistata in questi ambienti.
Le rupi a strapiombo sul mare si presentano alte
e frastagliate, orlate dalla cornice a litofilli
(trottoir a Litophyllum), una sorta di mensola
organica frangiflutti formata dalle lamelle
calcaree di alghe rosse che crescono sotto forma
di piccoli cuscinetti pietrosi, là dove
l’impatto delle onde è più violento. Quando le
pareti invece si aprono sulle cale (Cala Disa,
Cala Capreria e Cala del Varo), sui versanti
laterali, prima che si formi il piano
ciottoloso, ecco il trottoir a vermetus.
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