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Carlo III di Borbone in veste di cacciatoreSeguirono altri moti, e in ultimo, sul finire del 1649, una congiura guidata da due eloquenti avvocati, Antonio Lo Giudice e Giuseppe Pesce: la congiura fu scoperta e i due uccisi. Più tardi fu Messina a insorgere (1674) mettendosi sotto la protezione di Luigi XIV; ma, quando questi penso a far pace con l’alleanza dell'Aia, ordinò lo sgombero della città (gennaio 1678), che ritornò così sotto la Spagna. Con la pace di Utrecht (1713) il regno di Sicilia fu assegnato a Vittorio Amedeo II di Savoia, che nei brevi anni in cui lo tenne contese con i papi per i diritti di legazia ecclesiastica, proseguendo le dispute già intense al tempo del dominio spagnolo. La Spagna sotto la direzione dell'Alberoni tentò di riconquistare i domini italiani e nel 1718 un esercito sbarcò in Sicilia, occupandola. La formazione immediata della Quadruplice alleanza costrinse la Spagna a recedere dal suo proposito: e allora la Sicilia fu trasferita all'Austria, che non aveva cessato di reclamarla, e così, riunita a Napoli, passava sotto quella potenza per la ricordata pace di Utrecht. Il figlio di secondo letto di Filippo V, della nuova dinastia borbonica di Spagna, Don Carlos, durante la guerra di Successione polacca compì (1734) una vittoriosa spedizione nel regno, che riacquistò in lui un re indipendente, anche se strettamente legato alla Spagna. Sotto di lui (Carlo III, 1734-59) e sotto il figlio Ferdinando IV, finché fu al governo il Tanucci, si ebbe un indirizzo politico di stampo riformatore. Dopo il ritiro del Tanucci, soprattutto dopo l'inizio della rivoluzione francese, prevalsero tendenze reazionarie: questo non fece che favorire nella parte più colta della popolazione lo sviluppo delle nuove idee (il cosiddetto giacobinismo). A Palermo si ebbe nei 1795 la congiura Di Blasi. Nei 1799 e poi nei 1806-14 Ferdinando IV si ritirò da Napoli davanti alle armi francesi, riparando in Sicilia sotto la protezione della flotta inglese. Ferdinando IV, per le pressioni dell'Inghilterra, concesse alla Sicilia nel 1812 una nuova costituzione con le due camere dei Pari e dei Comuni, sul modello inglese.

 

DAL 1815 AI GIORNI NOSTRI

Ferdinando I di Borbone - ritratto di famigliaConcepito dall’aristocrazia come un mezzo per mantenere l'essenziale della proprietà nobiliare, ma avversato perchè si spingeva troppo in la nell’abrogazione dei diritti feudali, voluto dalla borghesia democratica per liquidare la feudalità, ma in realtà respinto perchè troppo timido su questa strada, il compromesso costituzionale del 1812 non durò a lungo. La monarchia borbonica soppresse definitivamente la costituzione nei 1816 con i decreti dell'8 e 11 dicembre e Ferdinando IV (divenuto Ferdinando I) riprese il controllo sulla Sicilia: ne abrogò l’indipendenza e costituì il regno delle Due Sicilie, liquidò le liberta costituzionali, le franchigie, la magistratura, introdusse un nuovo codice nel 1819 che restituì alla chiesa la facoltà di acquistare terre. La borghesia non costituiva una forza autonoma in grado di smantellare i residui feudali e soprattutto in grado di attuare una vera riforma agraria basata sulla soppressione del latifondo e la redistribuzione delle terre. I gabelotti che prendevano in gestione i fondi dai baroni erano legati alla proprietà nobiliare, prosperavano sui debiti dell'aristocrazia, assieme ai notabili, agli avvocati, agli usurai, non potendo quindi emanciparsi da questo sistema. In questo periodo si delineava anche l’atteggiamento delle classi sociali isolane nei confronti dell'autonomia. I baroni avevano più da guadagnare dall’indipendenza che dall'unificazione del regno, potendo sperare, al chiuso del loro territorio, di riprodurre nel tempo il sistema della loro dominazione, seppur con qualche correttivo. La borghesia democratica guardava invece all'esterno, per trovare il necessario supporto alla propria debolezza. Era quindi in generale contraria all’autonomia e vedeva nei Borboni la possibilità di ottenere qualche riforma che, se appariva reazionaria sul piano internazionale, paragonata ai movimenti radicali dell'epoca, in Sicilia era vista come un progresso.

Ferdinando I non ripristinò i vincoli giuridici del feudalesimo, ma essi si riprodussero ugualmente per decenni, comprese le corvees di lavoro, e poi tutto il sistema della grande proprietà baronale rimase intatto. Sulle masse contadine e popolari cominciarono a pesare, oltre al fardello baronale, anche l'amministrazione del nuovo stato, con nuove tasse e imposizioni (registro e bollo, dazi sul consumo), deliberate tra il 1816 e il 1820, sullo sfondo di una grave crisi economica e una depressione agricola che toccava tutta l'Europa a partire dal 1817 e che si protrarrà ancora oltre il 1848. E’ su questa base che scoppiò la rivoluzione nel 1820. II tentativo dell'aristocrazia di separarsi dai Borboni per ritornare alla costituzione siciliana del 1812 fallì per la radicalizzazione della rivolta popolare che si ispirava invece alla costituzione spagnola.

Giuseppe La MasaLa lotta contro i Borboni spingeva naturalmente anche le masse popolari sulla strada dell'indipendenza, che non era però tollerata dal nuovo governo costituzionale di Napoli (Ferdinando I aveva concesso la costituzione spagnola del 1812 in seguito alla rivoluzione napoletana). II governo costituzionale, miope e senza coraggio, inviò un esercito in Sicilia che ebbe la meglio anche per il mancato sollevamento di altre città oltre Palermo. Infine il 23-III-1821 gli austriaci entravano a Napoli e deponevano anche il governo costituzionale. Negli anni seguenti la crisi economica produsse un impoverimento nelle campagne e un indebitamento enorme della nobiltà terriera, ma la politica dei Borboni fu essenzialmente improntata alla difesa dello statu quo: la legge del 10-II-1824 stabiliva l'assegnazione forzosa delle terre ai creditori, ma i beneficiari furono sempre i membri dell’aristocrazia terriera (chiesa, baroni e piccola nobiltà locale), e solo in parte il ceto imprenditoriale borghese.

continua >>>

 
 

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